S.E.R. Mons. Angelo Bagnasco, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia

Città del Vaticano, 30 dicembre 2005

Omelia durante la celebrazione della Santa Messa nella Basilica Patriarcale di San Pietro a conclusione della Route di Natale della Comunità Scout di Soviore.

1.        Carissimi fratelli e sorelle nel Signore, carissimi scout e guide, caro don Guido: un saluto cordiale , affettuoso e fraterno a tutti.

            Sono lieto di essere qui a celebrare ancora una volta con voi e per voi, al termine della vostra Route di Natale, la Santa Messa. Quale migliore modo di partenza, di accompagnamento, di conclusione, se non l’Eucaristia? Questo vale per la Route, ma vale sempre, per la vita quotidiana di ognuno di noi. Non dimentichiamolo mai. Come cristiani siamo chiamati a partire dall’Eucaristia e a ritornare all’Eucaristia. Ogni nostra azione, che costituisce la splendida trama della nostra piccola ma irripetibile avventura temporale dalla terra al Cielo, dovrebbe – deve – sempre partire dalla Santa Eucaristia. Essa, come ricorda il Concilio vaticano II, è il tesoro più grande della Chiesa, il tesoro più bello, è il bene sommo della nostra fede cristiana e cattolica.

            Vorrei, in questa breve omelia, fare una premessa e lasciarvi due consegne, sperando che questo si inserisca in modo opportuno nella vostra “strada” natalizia che qui si conclude.

2.       La premessa è questa: è un invito, cari amici, a lasciarvi avvolgere, a lasciarvi prendere da questo tempio. Sì, dalla sua bellezza, dalla sua maestà, ma ancor più dalla sua storia. Su questo luogo, l’Apostolo Pietro ha dato la sua testimonianza di fede in Gesù, la testimonianza suprema del sangue. Celebriamo l’Eucaristia a pochi passi dall’altare della “Confessione”, dove Pietro ha “confessato” che Cristo è il Figlio di Dio e l’unico Salvatore del mondo: altare che sorge sopra la tomba del Principe degli Apostoli. Quale grazia! Quale grande meta di pellegrinaggio per tutti i cristiani e i cattolici che qui vengono per attingere forza e luce alla propria fede e al proprio essere Chiesa. Lasciatevi prendere! Non siamo superficiali e distratti osservatori della bellezza e dello splendore di questo luogo, ma lasciamoci attrarre dalla profondità, dalla sostanza del martirio di Pietro, dalla storia della fede di duemila anni, dalla presenza del successore di Pietro, il Sommo Pontefice. A lui,  Benedetto XVI, va il nostro riverente e filiale pensiero. Per lui la nostra preghiera. A lui il nostro affetto e la nostra gratitudine. Dobbiamo essere grati a Dio e a Gesù che ha detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra fonderò la mia Chiesa”. La Chiesa è fondata sulla pietra di Pietro e dei suoi successori. Grande grazia perché nel Papa abbiamo la garanzia della fede: abbiamo, cioè, la certezza, la sicurezza, la pace, il coraggio che la nostra fede, il Vangelo nel quale crediamo e su cui scommettiamo ogni giorno pur con le nostre fragilità e incoerenze, è la fede degli Apostoli. E’ il Vangelo di Cristo! E questa certezza di ortodossia – alla quale consegue una coerente ortoprassi – la dobbiamo a Pietro e ai suoi successori. I Vescovi infatti, con lui e sotto di lui, sono i maestri autentici, i garanti dell’autenticità della fede cristiana e cattolica e del retto agire morale. Quale dono! Per questo a Benedetto XVI eleviamo il nostro pensiero e per lui, come dicevo, la nostra preghiera. Auspico che il magistero del Papa sia sempre, carissimi giovani, un punto di riferimento da voi cercato, desiderato, meditato attentamente e, con la grazia di Dio, seguito. Questa è la premessa. Ora vorrei entrare nel merito di due brevi messaggi che vorrebbero essere anche due consegne.

3.        Il primo messaggio riguarda un’esortazione che il Santo Padre ha più volte rivolto al mondo moderno nei primi mesi del suo Pontificato: a quella parte del mondo moderno che fa difficoltà ad aderire alla fede o che espressamente si dichiara non credente. E’ un’esortazione che il Papa ha fatto  invitando gli uomini di buona volontà a vivere “veluti si Deus daretur”, come se Dio ci fosse! Non entro nel merito del contesto storico-culturale di questa espressione che il Papa, in realtà, ha capovolto. Non è questo il momento e il luogo. Mi basta e mi interessa che cogliate il messaggio profondo  poiché voi, grazie a Dio, avete la fede: sarà una piccola luce, sarà una grande fiamma, ma in voi, nel vostro cuore, vi è il dono della fede che dovete amare, custodire, alimentare. Anche se questa è la nostra situazione, l’esortazione del papa a vivere come se Dio ci fosse esprime comunque un grande criterio di vita: criterio semplice e straordinariamente profondo; semplice ed estremamente efficace E’ questo: attraverso l’esperienza, soprattutto attraverso l’esperienza,  noi comprendiamo la verità del Vangelo.

            Questa è la grande regola, il grande principio che il Papa indica a noi credenti, ma che contiene un criterio universale di vita. Quante volte abbiamo espresso ed esprimiamo, nella parabola della vita, difficoltà, dubbi, incertezze, forse reazioni verso le indicazioni del Vangelo, verso i criteri morali, i valori enunciati dalla Chiesa da duemila anni. E’ la fatica della fede, è il percorso dell’esistenza di ciascuno. Ma dobbiamo sempre ricordare quello che il Papa ci indica come criterio estremamente pratico e , come dicevo, estremamente efficace: l’esperienza. Come a dire: di fronte alle difficoltà a comprendere un valore, il magistero della Chiesa, non bisogna soprattutto discutere, ma “verificare” nella vita. Non è innanzitutto attraverso la discussione teorica, la diatriba, le sottigliezze retoriche, che possiamo cogliere la bellezza, la verità di Cristo e della Chiesa: ma è giocandoci dentro. Vivi come avessi l’assoluta certezza di quella strada e, vivendola, ne scoprirai la bellezza, il fascino e la verità. E’ la legge della vita. Non dimentichiamola mai, soprattutto voi giovani che siete all’inizio  della parabola dell’ esistenza terrena e che forse, per certi aspetti, potete essere maggiormente insidiati.

4.        Vi è un secondo messaggio che vorrei lasciare nel vostro cuore: ci proviene dal Natale. Siamo invitati ancora una volta a guardare la grotta di Betlemme. Quanto è suggestiva e dolce la poesia del Natale con  i segni della nostra  Tradizione, di cui dobbiamo essere non solo portatori  ma fieri! Ricordate: la fierezza della fede non allontana nessuno, anzi avvicina tutti.

              Ebbene, siamo invitati a fermarci davanti al presepe per contemplare la bellezza, la poesia della grotta con gli occhi dei pastori, cioè con gli occhi dei semplici. Essi non sono semplicisti o superficiali: sono  semplici e quindi profondi. Ma vorrei che andassimo oltre le benefiche suggestioni, per cogliere il messaggio radicale del Natale: il Figlio di Dio si è fatto uomo.

               Traduco questa verità centrale della nostra fede con altre parole: per vincere il male del mondo Dio ha messo in campo la forza dell’amore, anzi, si è fatto forza d’amore. La violenza del male viene vinta solo dalla forza dell’amore: questo è Gesù Bambino, questo è il mistero natalizio. E’ la forza dell’amore che irrompe nella storia per vincere la violenza del male. E la forze dell’amore si riveste di tenerezza, di piccolezza, di fragilità, di povertà.

              La forza dell’amore però vince la forza del male, quel male che non è innanzitutto fuori di noi, ma è dentro di noi. Tutti siamo tentati a dare la colpa agli altri di ciò che non va; dobbiamo invece guardare noi stessi. Il male che è nel mondo, infatti, è sempre – poco o tanto, in un modo o nell’altro – conseguenza del male che è in noi. Ed  per vincere questo male profondo che è in noi e che si manifesta in modo violento, corposo, fuori di noi, Dio si è fatto carne, forza d’amore, debolezza, fragilità.

             Cari amici, non dimentichiamolo mai: è una grande legge della vita. Nel mondo avremo sempre  da fronteggiare il male con le sue multiformi espressioni dentro e fuori di noi stessi. Ricordiamo: non c’è altra via per vincere, per superare il male che l’amore. Anche quando l’ amore sembra debole, impotente, perdente. Un Bambino di fronte ad Erode: che cos’è? In realtà è più forte.

            Che questo sacro tempio, che il martirio del beato Pietro, che la presenza, la vicinanza del Santo Padre, ci confermino in questi criteri e propositi di vita.